giovedì 14 luglio 2016

FMI: LA RECESSIONE IN ITALIA DURERÀ VENT’ANNI




Nella sua relazione annuale relativa all’Italia – riportata dal Guardian –  il Fondo monetario internazionale prevede che il nostro paese ci metterà almeno vent’anni a tornare a livelli di Pil pre-crisi, e che questa ripresa lenta e dolorosa sarà esposta a ogni sorta di minacce,  derivanti sia dalla crisi bancaria interna che dalla situazione economica e politica globale.  Anche a detta di istituzioni mondialiste come il Fmi, dunque, queste sono le prospettive che ci attendono –  sempreché rimaniamo vincolati ad un cambio troppo forte per la nostra economia e a delle regole assurde di politica economica, naturalmente.  Potranno anche concederci la flebo degli aiuti pubblici alle banche,  ma se le politiche non cambiano i nodi arriveranno al pettine
di Larry Elliott, 11 luglio 2016
Secondo la relazione annuale del Fondo, la terza più grande economia della zona euro potrebbe non avere una ripresa fino alla metà del 2020.
Nel difficile clima finanziario del post-Brexit, il Fondo Monetario Internazionale ha segnalato la fragilità delle banche italiane, lanciando l’allarme sul fatto che la terza più grande economia della zona euro dovrà soffrire per quasi due decenni prima di poter cominciare a recuperare il terreno perduto dal crollo finanziario del 2008.
Questo lunedì le banche italiane hanno subito pesanti perdite, quando l’Unione europea insisteva che il governo di centro-sinistra di Matteo Renzi deve rispettare le regole sugli aiuti di Stato, regole che limitano la possibilità di Roma di fornire aiuto alle banche gravate dai crediti in sofferenza (NPLs) causati dalla stagnazione dell’economia.
Il FMI ha detto che l’Italia si sta “riprendendo gradualmente da una profonda e prolungata recessione“, ma ha anche detto che il processo di ripresa probabilmente sarà “lungo e soggetto a rischi”. Ai sensi del suo Article IV – che prevede un controllo annuale sulla salute economica e finanziaria dei paesi membri – il FMI ha sottolineato che l’Italia rimane vulnerabile ad un insieme di rischi e minacce che potrebbero provocare effetti a catena sul resto dell’Europa e del mondo.
Il FMI prevede che l’economia italiana non tornerà ai livelli pre-2007 prima della metà degli anni 2020. Durante questo periodo di lenta ripresa, il paese avrà una crescita relativamente più modesta rispetto ad altri paesi della zona euro, mentre le sue banche continueranno ad essere fortemente esposte agli shock.
I rischi hanno origine nei ritardi nell’affrontare la qualità degli attivi del sistema bancario, nella accresciuta volatilità sui mercati finanziari mondiali – sia per il Brexit, che per il rallentamento del commercio mondiale che pesa sulle esportazioni, che per l’afflusso dei rifugiati e le minacce alla sicurezza che potrebbero complicare ulteriormente gli interventi di politica economica” si dice nel report del Fondo monetario internazionale.
Se i rischi dovessero materializzarsi, le ricadute regionali e globali potrebbero essere significative, dato il peso sistemico dell’Italia.
Il voto della Gran Bretagna per l’uscita dall’Unione Europea ha portato l’attenzione degli investitori sui problemi del settore bancario italiano, nel timore che le rinnovate turbolenze nella zona euro porteranno ad una minore crescita, a una nuova ondata di fallimenti, e a un aumento delle sofferenze. Unicredit, la più grande banca italiana, dal 23 giugno ha perso un terzo del suo valore, e lunedì le sue azioni hanno subito un calo di quasi il 4%.
Il FMI ha dichiarato: “Con l’economia in recessione, i crediti in sofferenza sembrano stabilizzarsi a circa il 18% dei prestiti, uno dei livelli più alti della zona euro.” Questi crediti inesigibili, ha aggiunto, hanno fatto sì che i margini di profitto delle banche italiane siano stati tra i più bassi in Europa e hanno anche alterato la loro capacità di concedere prestiti.
Gli istituti di credito italiani hanno lottato per mesi per scaricare € 360 miliardi di sofferenze – circa un terzo del totale della zona euro. Questi sono cresciuti costantemente dall’inizio della crisi finanziaria globale nove anni fa, con il Pil italiano che ha subito un calo del 10%.
Il FMI ha detto che le banche italiane avevano aumentato la loro raccolta nel corso del 2015 per incrementare la ripresa finanziaria, ma i loro coefficienti patrimoniali erano ancora al di sotto della media della zona euro. Ha rilevato che, nonostante ulteriori misure imposte su alcune banche specifiche, le preoccupazioni per le sofferenze e la scarsa redditività in un periodo di bassi tassi di interesse quest’anno hanno sottoposto le banche italiane “a una intensa pressione del mercato, con perdite di oltre il 40% del loro valore di mercato“.
Il rapporto ha evidenziato altre debolezze, tra cui la bassa produttività e la scarsa crescita degli investimenti, un tasso di disoccupazione dell’11%, e un debito pubblico salito al 133% del PIL, che limita le possibilità di governo di Renzi di usare i tagli della pressione fiscale o l’aumento della spesa pubblica per stimolare la crescita.
L’Italia è in trattative con la Commissione europea per consentire il sostegno pubblico ai suoi istituti di credito più deboli, tra cui Monte dei Paschi di Siena. Gli aiuti di Stato alle banche sono consentiti dalla normativa dell’Unione Europea solo in casi eccezionali, di “gravi turbamenti” dell’economia.
Roma ha cercato di fare pressioni durante l’ondata di vendite che ha colpito  il settore bancario dopo il Brexit, con Ignazio Visco, governatore della banca centrale d’Italia, che ha sottolineando come il governo italiano non possa escludere l’aiuto dello Stato. Ma questa idea è stata accolta freddamente a Bruxelles; il leader dei ministri delle Finanze della zona euro ha detto che i problemi delle banche italiane non sono ancora abbastanza gravi da consentire a Renzi di ignorare le regole sugli aiuti di Stato.
Solo in circostanze eccezionali un governo dell’Unione europea può fornire sostegno pubblico a una singola impresa o a un settore dell’economia, nel timore che i salvataggi sarebbero utilizzati per falsare la concorrenza. Il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha detto di non vedere alcuna “crisi acuta“: “Ci sono questioni di crediti in sofferenza delle banche italiane, ma non è un problema nuovo,” ha detto. “Le regole sono chiare e rigorose“.
Vi sono tuttavia dei segnali che l’Italia potrebbe andare a un confronto con l’Unione europea, in quanto il ministro delle finanze del paese, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato che Roma avrebbe salvaguardato gli interessi dei risparmiatori. Entro la fine dell’anno il governo si trova ad affrontare un referendum molto combattuto sulle riforme costituzionali, dal quale dipende il destino politico di Renzi, che vuole dunque evitare l’ira dei piccoli investitori.


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